Lettere dal passato

Stamattina, e non so perché, ho riaperto la mia scatola dei ricordi dolorosi. Forse perché ogni tanto ho bisogno di ritrovare nella tristezza e nel dolore ciò che ho promesso tanti anni fa a chi purtroppo non c’è più: vivere anche per loro! La mia scatola è una semplice scatola di scarpe beige e forse, per il suo contenuto, dovrebbe essere una scatola più raffinata, colorata, dorata, preziosa perchè in sè racchiude un tesoro inestimabile: quello dell’amore, della speranza, dell’amicizia fra ragazzi che hanno avuto la fortuna di incontrarsi durante un percorso doloroso e che ha permesso loro di condividere un tratto di vita e ricevere l’uno dall’altro la positività e il sostegno reciproco nella drammaticità della loro malattia.

Le lettere ancora scritte a mano con data, corpo e saluti finali sono lontane anni luce dalle email veloci e dai messaggi whatsapp istantanei… la carta è impregnata dell’anima di chi le ha scritte, dei loro pensieri, delle loro lacrime, speranze e anche gioie nonostante fossero scambi epistolari fra ragazzi che si sono conosciuti fra le corsie del reparto di Fibrosi Cistica dell’ospedale Borgo Trento di Verona. Da allora sono passati più di trent’anni. Non ero ancora maggiorenne quando fui ricoverata lì per valutare se potessi essere affetta da FC. Nell’entrare in quel reparto fui catapultata nella sofferenza dei più piccoli e ciò mi sconvolse. Fino ad allora, ero stata ricoverata in reparti dove ero sempre stata la più piccola… lì invece i pazienti erano quasi tutti più giovani di me! La disperazione mia e dei miei genitori per il mio stato di salute, ci ha fatto sperare che avessi la FC… almeno avremmo scoperto il nome della malattia e avere una terapia adeguata per affrontarla. Ora dico, per fortuna, che non l’avevo ma ciò non consolava né noi né i medici che si erano presi a cuore la mia condizione. Non voglio qui parlare dei tentativi fatti dai dottori per aiutarmi perchè ciò che è stato più importante è il legame costruito con alcuni dei bambini e ragazzi che è durato purtroppo fino alla loro scomparsa.

Il più piccolo di loro, R.ino, aveva solo 11 anni, un bimbo minuto, secco come un ramoscello ma con un sorriso e una vitalità che mi ha letteralmente fatta innamorare di lui. R. era stato abbandonato perchè affetto da FC ed era stato accolto da una mamma che faceva parte di una comunità di donne che si prendevano cura di figli naturali e non. R. era amato e non si poteva fare a meno di amarlo. La mattina veniva di corsa in camera mia a salutarmi e mi balzava in braccio dicendomi:”Buongiorno Pamela, dolce come una mela!” e lì mi scioglievo per il suo affetto e il modo che aveva di sorridere. Era una forza e quando mi sentiva tossire, mi batteva la schiena con la mani a coppetta per drenare il catarro e mia mamma se ne stava lì incantata a guardarlo aiutarmi. Una mattina mi parlò della seduta che doveva fare per imparare a fare le terapie da solo e mi disse di andare con lui: in una stanza c’erano piccoli pazienti e medici che insegnavano loro come farsi le flebo, l’aerosol e le posizioni più corrette per cercare di eliminare il catarro quando si accumulava nei polmoni. I dottori insegnavano ai bambini ad essere autonomi nella gestione della propria condizione e mi accorsi di quanto io invece dipendessi dai miei genitori. Dopo una decina di giorni, arrivò il momento delle dimissioni di R. La sera prima era stato insieme a me fino a tardi dicendomi che non se ne sarebbe voluto andare. Quando è arrivata l’ambulanza a prenderlo ero in corridoio per un ultimo saluto. Lui in lacrime è corso verso di me, mi è saltato in collo ed io ho l’ho avvolto con le mie braccia e mi sono accorta della sua fragilità: sotto le mie dita sentivo solo le sue costole che si dilatavano mentre piangeva e diceva:”Non voglio andare via, voglio stare con te e venire a casa con te, ti voglio tanto bene Papela”. Non sono scoppiata in lacrime in quel momento perchè dovevo essere forte per entrambi e gli ho detto che non ci saremmo persi e doveva andare a casa con la sua mamma che gli voleva tanto bene. Ci saremmo scritti spesso e sarei andata a trovarlo se fossi capitata dalle sue zone. L’ho rimesso a terra e appena è sparito dietro l’angolo, mi sono rifugiata tra le braccia di mia mamma e mi sono lasciata andare a un pianto disperato insieme a lei. Con R. ci siamo scritti per un po’ fino a che purtroppo se ne è andato a dicembre del 1990. Il dolore provato ascoltando la voce di sua mamma al telefono è stato atroce e ho fatto fatica a riprendermi.

E. era una ragazzina poco più grande di me, biondina, esile e delicata che lavorava in una cartoleria, aveva un ragazzo e tanti sogni da realizzare. Passavamo i pomeriggi a farci compagnia chiacchierando del più e del meno e ascoltando musica. Un volta dimessa, abbiamo iniziato a scriverci e la sua carta da lettere era sempre diversa e molto colorata. Spesso le piaceva scrivere senza seguire un andamento regolare in orizzontale, ma si divertiva a scrivere in obliquo perchè diceva di annoiarsi nel modo tradizionale. Ci siamo più volte ripromesse di incontrarci ma non è stato possibile. Ho continuato poi per qualche anno a sentire la sua mamma dopo che E. se ne è andata… un’altra grossa perdita.

B. è stata la mia migliore amica di sempre. Anche lei era poco più grande di me. Fra noi è nata subito un’alchimia particolare e non stavamo mai lontane… ci trovavamo anche la notte e appena potevamo sgattaiolare via dalle rispettive stanze, ci rinchiudevamo in una delle camere a farci compagnia, anche insieme a E. e M. di cui parlerò in seguito. Betta fra tutti era la più saggia e per non farmi impensierire non mi ha mai detto di avere la FC… anche se io in cuor mio lo sapevo. Ci volevamo davvero un gran bene e sentivamo di essere come sorelle o più che sorelle. Una volta dimesse ci siamo scritte per anni e entrambe aspettavamo con ansia le lettere dell’altra che erano fiumi interminabili di racconti delle nostre vite, sia nel bene che nel male. Lei dava la forza a me e io cercavo di darla a lei. B. minimizzava sempre ciò che le accadeva e come si sentiva e non avevo minimamente pensato che anche lei se ne potesse andare… e invece fu così. Un giorno ricevetti, dopo strani mesi di silenzio, una lettera da suo fratello E. che mi diceva che non ce l’aveva fatta a scrivermi prima perchè il dolore era ancora troppo forte. Anche B. mi aveva lasciata e io non potevo sopportare l’idea di esserle sopravvissuta. Ero inconsolabile e solo il rapporto epistolare con E. mi ha dato la forza di andare avanti. Io e E. ci siamo conosciuti e ricordo con piacere la bella accoglienza che lui e la sua famiglia hanno avuto per me.

M. era un ragazzo alto ma esile a causa della FC. Aveva qualche anno più di me e una cesta di riccioli castano chiaro che scappavano da ogni parte. Anche con lui avevamo legato molto e non nascondo che fra noi ci fosse anche dell’attrazione. Lui però sapeva di non poter affrontare una storia a distanza e temeva di iniziare qualcosa che non avrebbe avuto un lieto fine. Stavamo ad ascoltare musica e a raccontarci delle nostre vite. Sapendo della mia passione per le canzoni di Elvis Prestley, prima della dimissione dell’ospedale, mi ha regalato il cofanetto con la raccolta delle più belle canzoni di Elvis in musicassetta che ancora ho a casa dei miei. Abbiamo continuato a sentirci per un po’ ma da un certo punto in poi ci siamo persi.

Tornare a pensare a loro mi fa ritrovare il coraggio di proseguire la mia seppur tormentata strada. Anni fa avevo promesso di trovare il coraggio di andare avanti a vivere anche per loro. Non sempre ho la forza e nemmeno il coraggio, ma proseguo la mia vita come posso. Ragazzi il vostro posto nel mio cuore ci sarà sempre perchè col vostro esempio sono anche diventata ciò che sono. Vi vorrò bene per sempre!

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L’armadio di una donna gommosa

Tempo di cambio di stagione… tempo per decidere se far volare via qualche abito dimenticato nell’armadio… tempo di lasciar andare via indumenti verso i quali nutri sempre la speranza di poter reindossare… I miei cambi di stagione sono sempre molto sofferti: apro armadi, cassetti e scatole non solo pieni di abiti ma anche pieni di ricordi, speranze, sorrisi e lacrime. Quest’anno mi sono imposta di lasciare definitivamente alle spalle capi che purtroppo sarò conscia di non poter più indossare a causa del mio essere “gommosa”, così come mi ha definita il mio piccolo ometto che ha scelto probabilmente di compararmi a una caramella piuttosto che dirmi che sono grossa o cicciona… Io in realtà mi vedo come una fisarmonica un po’ scassata che non riesce più a tornare al suo stato di riposo e resta bloccata a metà… una condizione che pensavo reversibile ma che invece persiste per vari motivi… Il primo ad essere stato assalito è stato l’armadio, abitato spesso da Filippo che lo utilizza come rifugio e che si è trasformato in una cuccia pelosa! Ho iniziato a tirar fuori i pantaloni dalla parte inferiore e ho scoperto di avere una vera e propria boutique in casa: 25 paia di pantaloni di tutte le taglie possibili, dalla 42 alla 52, tutti rigorosamente come nuovi… perchè alla fine poi usi sempre quei due o tre e tutti gli altri rimangono nel dimenticatoio. Ovviamente non ho dovuto provare i più piccoli, verso i quali la speranza di tornare a indossare, è ormai tramontata…

Ho preso un grosso sacco e zac… li ho gettati ma con la sofferenza di chi ormai non ripone più la speranza di potervi rientrare… Poi sono passata a quelli più grandi… Alcuni mi hanno sorpresa, altri mi hanno delusa… e qualcuno ha raggiunto i piccoli nel sacco… A baluardo in difesa della speranza però, ho tenuto l’unico paio di pantaloni dal quale non sono riuscita a separarmi: i pantaloni bianchi che con orgoglio ero riuscita a indossare dopo il trapianto, quando ero tornata me stessa, quindi magra… Non ce l’ho fatta a lasciarli andare perchè resto ancora ancorata a quel periodo in cui avevo ritrovato me stessa e nel quale gli occhi di Vale mi avevano riguardata come quando ci eravamo conosciuti. Con questo cambio di stagione una parte di me, dei miei ricordi e delle mie speranze se ne sono andati e non senza dolore. Ora ho ritrovato nuovo spazio da poter riempire con pantaloni nuovi e spero di poter abitare il mio armadio anche con una nuova speranza: recuperare un po’ di fiducia e lavorare per migliorare la mia condizione di donna gommosa.

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Un fantasma allo specchio

Quando torni a casa dopo trentacinque giorni di ospedale, trovi tutto cambiato, come se non fossi mai vissuta in un posto che non riconosci più come familiare. Sei così stranita e stanca che niente ti interessa tranne l’idea di essere tornata con Vale e con i genitori. I primi dieci giorni di casa non sono affatto un idillio… Senza forze devi riuscire a riappropriarti del tuo corpo che non risponde come dovrebbe e come vorresti. L’unica cosa che vuoi fare è stare stesa fra letto e divano e lasciar passare il tempo… ma non si può… la vita chiama e il suo richiamo è forte e assordante per non starlo a sentire! Alzarsi dal letto la mattina è faticoso e quindi devo aspettare che qualcuno mi aiuti: Vale, mamma, papà o Irene che a turno si avvicendano nella mia delicata gestione, sempre facendo attenzione a non essere raffreddati e disposti a lasciare le scarpe fuori per non portare possibili batteri in casa. Il papà è sempre stato allergico alle pattine all’ingresso ma, per amore mio, ha acconsentito anche a questo! Come caldamente suggerito dai medici alle dimissioni, il primo impegno gravoso appena alzata, è la doccia e il cambio quotidiano degli indumenti. Come far fare la doccia a una persona che non si regge in piedi? Semplice, prendere una sedia pieghevole, introdurla nella doccia e lavarsi da seduta anzi, farsi lavare da seduta! Dopo la doccia c’è il rituale dell’oliatura e alla fine ci si sente come una cotoletta pronta per essere impanata e fritta. Povera pelle e povera me: mi sembro un serpente che fa la muta, o un edificio che si crepa e perde l’intonaco a pezzi…

Poi alzi gli occhi e ti guardi allo specchio: quella non sono io, quella non sono io, quella lì è un fantasma… E’ uno scheletro ricoperto solo da un debole strato di pelle… dove è sparita la carne? Dove è sparita la Pamela cicciottella che tanto odiavo? Ora odio anche questa… L’unica cosa che è rimasta è la facies cushingoide, a luna piena… l’unico baluardo rimasto a ricordare il cortisone! Come farò a tornare a vivere in questo stato? Lo sguardo dolce di mia mamma e le sue parole mi hanno fatto rivedere la luce: “Amore, sei tornata la Pamy di quando facevi danza! Non sei così male!” e quelle parole mi hanno fatto tornare in mente che uno dei miei tanti desideri è sempre stato tornare ad essere la quattordicenne ballerina che avevo lasciato.

Dopo tutte queste manovre per iniziare la giornata e questo nuovo slancio di positività, uno penserebbe di essere pronto ad affrontare qualunque cosa e invece? Il niente. Ore passate sdraiata sul divano senza riuscire quasi a muovere più di dieci passi. E’ inverno e quindi le giornate sono fredde… Nemmeno il camino acceso riesce a scaldarmi nonostante indossi pigiama di pile, maglia di pile e vestaglia di pile! Forse il mio termostato biologico si è guastato? Forse assumere una ventina di pillole al giorno qualche effetto lo produrrà? E il cibo? Ora posso mangiare ciò che voglio!!! Devo mettere su un po’ di ciccia e forze per poter ricamminare… eppure… non riesco ad ingoiare niente… la nausea è più forte della mia voglia di mangiare! I medici contattati mi hanno detto che potrebbe essere GVHD allo stomaco, ovvero il mio nuovo midollo che cerca di distruggere il mio stomaco e allora giù di nuovo col cortisone nel tentativo di allontanare una biopsia che potrebbe essere pericolosa con le difese così basse. Cerco di mangiare ciò che più mi piace incitata ad ogni pasto da chi mi fa compagnia… e se riesco a mangiare qualcosa, subito dopo corro in bagno a vomitare… ci consoliamo pensando che almeno qualcosa possa rimanere… Quanto ho odiato quegli incoraggiamenti, quante lacrime ho versato mentre mangiavo… ma se non avessi avuto loro… E così, un po’ alla volta i giorni sono passati fino a che non sono dovuta rientrare in ospedale.

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Irene

Ieri sera mi sono ritrovata a singhiozzare davanti ai fornelli, un pianto nemmeno tanto sommesso e incontrollabile scaturito dal suo ricordo. Con la vista offuscata e il cuore in mille pezzi mi sono chiesta: “Perché ora?”… Non riuscendomi a calmare, ho lasciato le pentole sul fuoco al loro destino, per andarmi a nascondere in camera e sfogare quel dolore che fino a quel momento era rimasto segregato nel mio cuore: forse perché non ho ancora accettato la cosa, forse per cercare di essere forte per Vale e il bimbo… forse solo perché sto realizzando solo ora… forse perché non ero accanto a lei quando è successo… perché non le ho potuto dire ancora una volta quanto le volevo bene… Oggi è un mese esatto da quel giorno che pensavo non dovesse mai arrivare, che ero sicura non sarebbe arrivato tanto era forte… Ci siamo conosciute in un giorno di agosto di ormai 17 anni fa. Vale mi aveva invitata a casa vostra per conoscere il piccolo Luigi, un batuffolino di pochi mesi che a suo dire era spettacolare. Quel nostro primo incontro le é sempre rimasto impresso per la gonna con lo spacco vertiginoso che indossavo e che ancora tengo nell’armadio con la remota speranza di poter indossare. E con la gonna i miei stivali leopardati… l’avevo proprio colpita, tanto che, nel ricordare il nostro incontro, lei mi diceva sempre:”Come ha fatto il mi figliolo a trovare una come te?” e ci facevamo sempre una bella risata sopra. Da quelle prime visite saltuarie, ho iniziato a frequentare la vostra casa sempre più assiduamente e la ringrazierò sempre per avermi accolta come una figlia. Quanto affetto quando mi definiva “La mi bimba”…

Quante se ne sentono dire tra suocera e nuora ma il nostro rapporto si è sempre basato su un profondo rispetto reciproco. E’ vero, ci sono state delle tensioni dovute alla vicinanza, ma è anche vero che ho sempre potuto contare su una presenza forte e sempre disponibile. Anche nel dopo trapianto sapevo di poter contare su di lei. E poi sono iniziati i suoi problemi di salute… Una malattia bastarda della quale nessuno di noi sapeva nulla e che nemmeno i medici riuscivano a curare al meglio… Ho visto il suo volto trasfigurarsi un po’ alla volta diventando ogni giorno meno indipendente e ho assistito al lento declino di quella volontà ferrea che le ha sempre permesso di crescere i suoi figli da sola e che è sempre riuscita ad andare a testa alta nonostante tutto. Ho cercato di aiutarla come potevo, eppure non bastava… ricordo le infinite notti passate seduta accanto a lei sul letto in attesa che le sue gambe le dessero un minimo di tregua, le lunghe chiacchierate per cercare di farle pensare ad altro, i tentativi di ingannare il suo stato ansioso con il placebo… I suoi inutili tentativi di tornare a camminare e che affossavano ancora di più la sua volontà di farcela. Eppure in un modo o nell’altro, con tutta la fatica di questo mondo si riprendeva sempre… tranne dopo Natale. Ho sempre odiato i pessimisti e tutte le persone che facevano trasparire i brutti pensieri davanti a lei. Alla fine si è arresa ed io non ero con lei… Non ho potuto fare altro che accudirla anche dopo come potevo e mi sono impuntata per farle indossare le sue amate collane, la sua adorata spilla e soprattutto lo smalto rosso fuoco che adorava e che le ho messo tenendole le mani per l’ultima volta: piccoli gesti per dimostrarle ancora una volta quanto le volessi bene. Guardavo il suo volto ormai in pace e sereno sperando di veder comparire ancora una volta il suo sorriso ma ormai era lontana. Mi ero ripromessa di essere forte, ma alla fine sono crollata… Ora siamo tutti più soli senza lei e dovremo essere forti nonostante tutto… il tempo probabilmente sarà l’unica cosa che ci darà un po’ di consolazione. Le voglio un gran bene Irene e la prego: continui a proteggerci da lassù!

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Sogni che fanno ancora male! ❤️❤️❤️

Svegliarsi tristi per aver pianto nel sonno non mi piace ma qualche volta succede! E stamattina ho iniziato la giornata così!! Nel mio sogno stranamente c’era il nonno Toni che non ho mai sognato da quando è mancano tanti anni fa! Eravamo a casa della zia Bruna a Venezia e ad un certo punto accende la tv e mi dice di guardare perché aveva trovato dei video che mi riguardavano! Ero giovane, quando ancora stavo bene ed ero longilinea e il mio sorriso spaccava lo schermo per la sua solarità!!! Le emozioni di quella Pamela invadevano anche me. Le immagini del primo video raccontavano di una delle nostre cene tutti insieme e dell’amore che sprigionavano e che ora mi mancano. Nel secondo ballavo in teatro con le punte e piroettavo senza alcuna fatica col sorriso! Ho iniziato a piangere copiosamente di una disperazione inattesa… E nonno mi ha circondata con le sue braccia per farmi calmare e mi diceva:”Tranquilla ci sono io!”. Ma i singhiozzi non cessavano… Mi sono svegliata triste col cuore pieno di dolore… E i mille perché sono riaffiorati… Perché la vita è stata così ingiusta? Perché non potevo rimanere quella Pamela spensierata e felice? Purtroppo a queste domande non c’è stata mai risposta e non ci sarà mai… Se non fosse successo niente sarei un’altra, forse sarei peggiore, più superficiale… Ma ora sono così e non mi cambierei con nessun altro al mondo!! E dopo un attimo di smarrimento che cercava di condizionarmi la giornata, mi sono alzata e con Valerio al mio fianco sono ripartita e siamo andati ad allenarci insieme!!! ❤️❤️❤️

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L’emozione non svanisce

Sabato scorso le emozioni sono riaffiorate più vivide che mai durante l’incontro “Il dono” organizzato a Pescia da ADMO e il Prof Iadarola. ADMO Pistoia è un po’ speciale: nel consiglio ci sono tre trapiantati di midollo e uno smidollato!!! Lorenzo è il nostro jolly e come donatore effettivo di midollo osseo per un bambino inglese è idealmente il donatore di tutti! Parlare dopo la sua testimonianza non è semplice perché l’emozione stringe la gola e secca la bocca!!! Non so se sia così anche per Fulvia e Laura ma a me fa questo effetto! E idealmente ringrazio lui per ringraziare la mia sorellina!!! Cerco di raccontare il mio vissuto in modo leggero cercando di non far rattristare le persone che ho di fronte… Ogni volta però la mia storia non risulta mai uguale a se stessa. A volte cito una cosa, la successiva un’altra!!! E sabato c’erano anche i miei e vederli con i lucciconi agli occhi mi faceva venire il groppo alla gola!!! È stato un bellissimo pomeriggio. Adriana, il nostro presidente è unica! Così come unici sono i nostri volontari. E Paola si emoziona sempre ricordando quando ci siamo conosciute qualche anno fa a un incontro un po’ po ero di persone. Ma c’erano quelle giuste!!! E poi c’è stato l’abbraccio di un amico speciale che è voluto esserci nonostante il suo dolore. Difficile trovare le parole giuste, non ce ne sono… Spesso è meglio un semplice abbraccio senza parole per dire tutto!!! È stata un’altra giornata da ricordare!!! ❤️❤️❤️

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Emozioni che tornano a galla e che fanno ancora male

Scrivere i miei ricordi nel blog probabilmente è terapeutico, così come ha sempre detto Chiara, la mia psicologa. Esternare ciò che ho vissuto alleggerisce l’enorme fardello che mi porto addosso. Chiara  mi ha detto che sono come uno di quei soldati che tornano dal fronte che rimangono ancorati ai loro ricordi dolorosi e soffrono dello shock post traumatico. Non ci avevo mai pensato e ora credo sia vero. L’unico modo per accettare tutto è parlarne e allora ben vengano le testimonianze con ADMO, scrivere diari (a casa ne ho una marea!) e aprire il blog. Quante cose ho dimenticato… Forse è la testa che rimuove tante cose… Quanto dolore torna a galla… E continuo a commuovermi pensando a ciò che ho vissuto, lo stomaco si aggroviglia di nuovo e gli occhi si inumidiscono. Sembra quasi impossibile pensare di essere ancora qui dopo 29 anni di problemi!! Spesso mi viene da pensare:”E chi m’ammazza?” E poi faccio subito le corna perchè non si può mai sapere!!! Non so se vi sia mai capitato di pensare di essere ancora al mondo perchè siamo destinati a fare qualcosa di speciale… Io me lo sono detto spesso, forse per giustificare in qualche modo ciò che dovevo sopportare. Forse una piccola missione da svolgere l’abbiamo tutti! La mia credo possa essere una delle più belle: aiutare gli altri a non arrendersi e a trovare sempre il lato positivo di tutte le cose! Certo, ciò non mi mette al riparo da un po’ di pessimismo, ma poi ciò che conta è tornare a sorridere e continuare a ritenersi fortunati per la vita di cui possiamo ancora godere! C’è sempre un piccolo sole dentro noi che ci aiuta a uscire dai momenti più difficili! E quel sole si chiama SPERANZA!!! ❤️❤️❤️

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